Certo chiamata così Dublino sembra essere ancora meno una città europea; nel suo nome originale riecheggiano i canti dei pescatori e dei briganti, i suoni acuti del violino e quelli gravi del bodhran: respira e ansima alle stesse contrazioni della concertina.
Spazzata dai venti, che rendono unico il cielo di Irlanda – come cantava Fiorella Mannoia – Dublino non è (quasi) mai ammorbata dai gas discarico dei mezzi di trasporto, piuttosto dai profumi dello streetfood e dall’aroma aspro della birra scura.
Ma Dublino non è solo la città del celeberrimo stabilimento (che i maligni dicono essere alimentato con le acque del Liffey), dei pub e delle canzoni popolari. Dublino è un abbraccio sulla baia, è un insediamento antico con il futuro che scorre nelle vene; è una metropoli giovane che riesce a coniugare lo stile dell’Isola con quello del Vecchio Continente.
Basta poi uscire dai confini turistici della città per assaporare climi e ambientazioni alla Joyce o atmosfere alla Wilde… soprattutto nelle ultime settimane di autunno.
Il mio consiglio è quello dell’esplorazione autonoma, dell’andata e ritorno a Dublino, del viaggio nel viaggio che, zaino in spalla, inizia al mattino e finisce la sera. E se il punto di arrivo è il ristoro a Temple Bar, l’inizio è Amiens St. dalla cui autostazione partono corse per tutta l’Isola (contrariamente a quanto succede da noi, il treno in Irlanda è parecchio costoso… e ovviamente non è un servizio capillare).
Escursioni più brevi sono invece quelle possibili usando la DART, una sorta di metropolitana leggera che corre da sud a nord della baia tra palazzi in mattoni rossi, prati verdi e stazioni vittoriane scaldate ancora da un vecchio camino. Da Connolly Station (di fronte alla stazione degli autobus) è possibile raggiungere la spiaggia di Bray a sud o il castello di Malahide a nord; oppure farsi un selfie con le foche di Howth.
Insomma, Dublino non è solo pub e Guinness, ma è anche tutta una rete di trasporti per mete senza tempo e dal fascino del viaggio antico.
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